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venerdì 21 dicembre 2012

tirocini formativi: per la Corte Costituzionale è illegittima la regolamentazione statale della durata e dei requisiti

"""""""""SENTENZA N. 287
ANNO 2012
LA CORTE COSTITUZIONALE
(...)
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 11 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, promossi con autonomi ricorsi dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria e dalla Regione autonoma Sardegna, (...)
2.— La presente decisione ha ad oggetto unicamente l’impugnazione dell’art. 11 del citato decreto-legge, il cui contenuto è il seguente: «1. I tirocini formativi e di orientamento possono essere promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisiti preventivamente determinati dalle normative regionali in funzione di idonee garanzie all’espletamento delle iniziative medesime. Fatta eccezione per i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i condannati ammessi a misure alternative di
detenzione, i tirocini formativi e di orientamento non curriculari non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese, e possono essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati o neo-laureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio. 2. In assenza di specifiche regolamentazioni regionali trovano applicazione, per quanto compatibili con le disposizioni di cui al comma che precede, l’articolo 18 della legge 24 giugno 1997 n. 196 e il relativo regolamento di attuazione».
3.— Le Regioni Emilia-Romagna, Liguria ed Umbria, in termini analoghi, lamentano che le disposizioni impugnate violino l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto, disciplinando i tirocini formativi e di orientamento non curriculari, dettano una normativa che rientra nella materia di competenza regionale residuale inerente la «istruzione e formazione professionale».
(...)
3.— I ricorsi sono fondati. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, dopo la riforma costituzionale del 2001, la competenza esclusiva delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale «riguarda la istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a ciò destinati, sia mediante strutture proprie che le singole Regioni possano approntare in relazione alle peculiarità delle realtà locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi» (sentenza n. 50 del 2005). Viceversa, la disciplina della formazione interna – ossia quella formazione che i datori di lavoro offrono in ambito aziendale ai propri dipendenti – di per sé non rientra nella menzionata materia, né in altre di competenza regionale; essa, essendo intimamente connessa con il sinallagma contrattuale, attiene all’ordinamento civile, sicché spetta allo Stato stabilire la relativa normativa (sentenza n. 24 del 2007).
La giurisprudenza successiva ha avuto modo di precisare, peraltro, che i due titoli di competenza non sempre appaiono «allo stato puro» (così la sentenza n. 176 del 2010 in relazione al regime dell’apprendistato), ed ha chiarito che il nucleo «di tale competenza, che in linea di principio non può venire sottratto al legislatore regionale (…) – al di fuori del sistema scolastico secondario superiore, universitario e post-universitario – cade sull’addestramento teorico e pratico offerto o prescritto obbligatoriamente (sentenza n. 372 del 1989) al lavoratore o comunque a chi aspiri al lavoro: in tal modo, la sfera di attribuzione legislativa regionale di carattere residuale viene a distinguersi sia dalla competenza concorrente in materia di istruzione (sentenza n. 309 del 2010), sia
da quella, anch’essa ripartita, in materia di professioni (art. 117, terzo comma, Cost.), nel quadro della esclusiva potestà statale di dettare le norme generali sull’istruzione (art. 117, secondo comma, lettera n, Cost.)» (così la sentenza n. 108 del 2012).
Il titolo di competenza residuale ora richiamato si applica anche alla Regione Sardegna, in virtù della clausola di maggior favore di cui al citato art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
4.— Ora, alla luce del menzionato, costante orientamento di questa Corte, appare evidente che il censurato art. 11 si pone in contrasto con l’art. 117, quarto comma, Cost., poiché va ad invadere un territorio di competenza normativa residuale delle Regioni.
Il comma 1 della disposizione, infatti, interviene a stabilire i requisiti che devono essere posseduti dai soggetti che promuovono i tirocini formativi e di orientamento. La seconda parte del medesimo comma, poi, dispone che, fatta eccezione per una serie di categorie ivi indicate, i tirocini formativi e di orientamento non curricolari non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese, e possono essere rivolti solo ad una determinata platea di beneficiari. In questo modo, però, la legge statale – pur rinviando, nella citata prima parte del comma 1, ai requisiti «preventivamente determinati dalle normative regionali» – interviene comunque in via diretta in una materia che non ha nulla a che vedere con la formazione aziendale.
D’altra parte, che la normativa in esame costituisca un’indebita invasione dello Stato in una materia di competenza residuale delle Regioni è confermato dal comma 2 del censurato art. 11, il quale stabilisce la diretta applicazione – in caso di inerzia delle Regioni – di una normativa statale, ossia l’art. 18 della legge n. 196 del 1997 – peraltro risalente ad un momento storico antecedente l’entrata in vigore della riforma costituzionale del 2001 – che prevede l’adozione di una disciplina volta a «realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro, attraverso iniziative di tirocini pratici e stages a favore di soggetti che hanno già assolto l’obbligo scolastico».
(...)
è principio consolidato che il titolo di competenza costituito dai livelli essenziali delle prestazioni – che non individua una materia in senso stretto, quanto, invece, una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie (sentenza n. 322 del 2009) – «non può essere invocato se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione (sentenze n. 383 e n. 285 del 2005), mediante la determinazione dei relativi standard strutturali e qualitativi, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione stessa» (sentenza n. 232 del 2011).
È evidente, invece, che nel caso in esame si è fuori da simile previsione, e ciò a prescindere da ogni valutazione in merito alle finalità perseguite con l’intervento normativo statale.
6.— L’art. 11 del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, pertanto, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione
(...)
11 dicembre 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Sergio MATTARELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
(...)"""""""""

sabato 1 dicembre 2012

CORTE COSTITUZIONALE SU MATERNITA' PER LIBERE PROFESSIONISTE CHE ADOTTANO UN BAMBINO

Corte Costituzionale Sentenza n. 257 del 22.11.2012 (brani della sentenza):

""""""""""(...)1.— Il Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 27 settembre 2011 (r.o. n. 98 del 2012) ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 64, comma 2, e 67, comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), in riferimento agli articoli 3, 31 e 37 della Costituzione «nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici autonome e alle lavoratrici iscritte alla gestione separata e tenute al versamento della contribuzione dello 0,5 per cento di cui all’art. 59, comma 16, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che abbiano adottato un minore, prevedono l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi».(...)
Ciò posto si deve osservare che, come questa Corte ha già affermato, gli istituti nati a salvaguardia della maternità non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati anche alla garanzia del preminente interesse del minore, che va tutelato non soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente fisiologici ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo, collegate allo sviluppo della sua personalità (sentenze n. 385 del 2005 e n. 179 del 1993).
Tale principio è tanto più presente nelle ipotesi di affidamento preadottivo e di adozione, nelle quali l’astensione dal lavoro non è finalizzata solo alla tutela della salute della madre, ma mira anche ad agevolare il processo di formazione e crescita del bambino (sentenza n. 385 del 2005), creando le condizioni di una più intensa presenza degli adottanti, cui spetta (tra l’altro) la responsabilità di gestire la delicata fase dell’ingresso del minore nella sua nuova famiglia.
In questo quadro, non si giustifica, ed appare anzi manifestamente irragionevole, che, con riferimento alla stessa categoria dei genitori adottivi, mentre alle lavoratrici dipendenti, che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, spetta un congedo di maternità (con relativa indennità) per un periodo massimo di cinque mesi, sia in caso di adozione (o affidamento preadottivo) nazionale che internazionale (art. 26, commi 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 151 del 2001), alle lavoratrici iscritte alla gestione separata sia riconosciuta un’indennità di maternità per soli tre mesi. L’irragionevolezza di tale trattamento differenziato è palese, ove si consideri che, in entrambi i casi, si verte in tema di adozione o di affidamento preadottivo.
È vero che tra lavoratrici dipendenti e lavoratrici iscritte alla gestione separata sussistono differenze che rendono le due categorie non omogenee. Nella questione in esame però vengono in rilievo non già tali diversità, bensì la necessità di adeguata assistenza per il minore nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia, anche nel periodo che precede il suo ingresso nella famiglia stessa, e tale necessità si presenta con connotati identici per entrambe le categorie di lavoratrici.
Ne deriva che la discriminazione sopra riscontrata si rivela anche lesiva del principio di parità di trattamento tra le due figure di lavoratrici sopra indicate che, con riguardo ai rapporti con il minore (adottato o affidato in preadozione), nonché alle esigenze che dai rapporti stessi derivano, stante l’identità del bene da tutelare, vengono a trovarsi in posizioni di uguaglianza.
Conclusivamente, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001, come integrato dal richiamo al d.m. 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2002, nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, prevede l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi.
Ogni altro profilo rimane assorbito.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 64, comma 2, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), come integrato dal richiamo al decreto ministeriale 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2002, nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, prevede l’indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 67, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001, sollevata dal Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento agli articoli 3, 31 e 37 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe
(...)
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere (...)""""""""""

lunedì 26 novembre 2012

COOP, SPOT LITTIZZETTO : ALCUNE LAVORATRICI LE SCRIVONO

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Cara Luciana,
lo sai cosa si nasconde dietro il sorriso di una cassiera che ti chiede di quante buste hai bisogno? Una busta paga che non arriva a 700 euro mensili dopo aver lavorato sei giorni su sette comprese tutte le domeniche del mese. Le nostre famiglie fanno una grande fatica a tirare avanti e in questi tempi di crisi noi ci siamo abituate ad accontentarci anche di questi pochi soldi che portiamo a casa. Abbiamo un’alternativa secondo te?
Nei tuoi spot spiritosi descrivi la Coop come un mondo accattivante e un ambiente simpatico dove noi, quelle che la mandano avanti, non ci siamo mai. Sembra tutto così attrattivo e sereno che parlarti della nostra sofferenza quotidiana rischia di sporcare quella bella fotografia che tu racconti tutti i giorni.
Ma in questa storia noi ci siamo, eccome se ci siamo, e non siamo contente. Si guadagna poco e si lavora tanto. Ma non finisce qui. Noi donne siamo la grande maggioranza di chi lavora in Coop, siamo circa l’80%. Prova a chiedere quante sono le dirigenti donna dell’azienda e capirai qual è la nostra condizione.
A comandare sono tutti uomini e non vige certo lo spirito cooperativo. Ti facciamo un esempio: per andare in bagno bisogna chiedere il permesso e siccome il personale è sempre poco possiamo anche aspettare ore prima di poter andare.
Il lavoro precario è una condizione molto diffusa alla Coop e può capitare di essere mandate a casa anche dopo 10 anni di attività più o meno ininterrotta. Viviamo in condizioni di quotidiana ricattabilità, sempre con la paura di perdere il posto e perciò sempre in condizioni di dover accettare tutte le decisioni che continuamente vengono prese sulla nostra pelle.
Prendi il caso dei turni: te li possono cambiare anche all’ultimo momento con una semplice telefonata e tu devi inghiottire. E chi se ne frega se la famiglia va a rotoli, gli affetti passano all’ultimo posto e i figli non riesci più a gestirli.
Denunciare, protestare o anche solo discutere decisioni che ti riguardano non è affatto facile nel nostro ambiente. Ci è capitato di essere costrette a subire in silenzio finanche le molestie da parte dei capi dell’altro sesso per salvare il posto o non veder peggiorare la nostra situazione.
Tutte queste cose tu probabilmente non le sai, come non le sanno le migliaia di clienti dei negozi Coop in tutta Italia. Non te le hanno fatte vedere né te le hanno raccontate. Ed anche a noi ci impediscono di parlarne con il ricatto che se colpiamo l’immagine della Coop rompiamo il rapporto di fiducia che ci lega per contratto e possiamo essere licenziate.
Ma noi non vogliamo colpire il marchio e l’immagine della Coop, vogliamo solo uscire dall’invisibilità e ricordare a te e a tutti che ci siamo anche noi.
Noi siamo la Coop, e questo non è uno spot. Siamo donne lavoratrici e madri che facciamo la Coop tutti i giorni. Siamo sorridenti alla cassa ma anche terribilmente incazzate.
Abbiamo paura ma sappiamo che mettendoci insieme possiamo essere più forti e per questo ci siamo organizzate. La Coop è il nostro posto di lavoro, non può essere la nostra prigione.
Crediamo nella libertà e nella dignità delle persone. Cara Luciana ci auguriamo che queste parole ti raggiungano e ti facciano pensare.
Ci piacerebbe incontrarti e proporti un altro spot in difesa delle donne e per la dignità del lavoro.
Con simpatia, un gruppo di lavoratrici Coop"""""""""
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COMMENTO ALCOOP-AGL:
Siamo ovviamente disponibili a ospitare repliche da parte della Azienda COOP su quest'argomento.
Per intanto vorremmo osservare che molti in questi giorni parlano di violenza alle donne. Che spesso non è solo fisica ma anche morale, non solo tra le mura domestiche ma anche sul lavoro.Spiace constatare che nel mondo cooperativo stia andando avanti da anni il fenomeno delle retribuzioni più basse e degli orari più sfavorevoli. Se questo può lenire il malumore delle lavoratrici Coop, vorremmo rassicurarle che, a parte le atmosfere ovattate degli spot pubblicitari, l'opinione pubblica e la clientela di tutte le Aziende della grande distribuzione conosce abbastanza bene i loro sacrifici. Ma anche per i clienti non c'è scelta. Andare al supermercato significa infatti risparmiare per quel che si può in questa crisi. Quindi ci siamo un pò costretti tutti. Purtroppo vige un altro brutto fenomeno che chiunque faccia sindacato in quei contesti conosce bene: c'è troppa sottomissione, troppo timore, troppo egoismo da parte della gran massa dei lavoratori. E su questo campano i cattivi dirigenti che costruiscono il loro successo sullo sfruttamento. Purtroppo i lavoratori dovrebbero, in questi contesti estremi, capire che in definitiva è in mano loro la posibilità che certi personaggi continuino a fare profitti. Se non c'è vera ribellione non c'è vero cambiamento.Come è altrettanto vero che, nel panorama sindacale sono pochissimi i soggetti di cui ci si può fidare. Ma anche qui c'è una responsabilità di quei lavoratori che per paura, invece di buttarsi in prima persona nell'attività sindacale, la delegano a persone spesso senza scrupoli e senza morale.Sembra che le donne che hanno scritto questa lettera alla Littizzetto abbiano capito perfettamente tutto ciò. Ma per favore, non fermiamoci allo spot che sicuramente la Littizzetto interpreterà anche contro la violenza alle donne (e, ci scommetteremmo, con il contributo finanziario degli stessi dirigenti Coop e magari con la regia di qualche cineasta di "sinistra"). Cerchiamo di guardare più in là, oltre anche al precariato (perchè è chiaro che il futuro, tra pochi anni, sarà quello, ma per tutti, se non altro per disinnescare la bomba ad orologeria sociale che verrebbe costruita dal perpetuarsi dell'ingiustizia nel trattamento diseguale tra lavoratori in situazioni diverse). Per esempio: nei mesi scorsi anche noi abbiamo denunciato la via serba di Marchionne ai rapporti di lavoro. Non sarà mica che Renzi (vincitore delle primarie nelle zone rosse e quindi anche col voto dei cooperatori) e Bersani (storicamente considerato uomo vicino all'imprenditorialità cooperativa) pensino che l'alternativa al modello FIAT sia questo modello Coop?
Ecco, ci dicano loro cosa pensano della vostra situazione e cosa vogliano fare per porre rimedio. E CGIL CISL UIL, oltre a criticare i contratti pirata UNCI/CONFSAL , non sembra abbiano fatto molto per dimostrare come i CCNL Alleanza Cooperative/Triplice siano poi tanto diversi. E l'Autorità di vigilanza (la Direzione Generale Enti Cooperativi del Ministero dello Sviluppo Economico, diretto da Passera) che potrebbe intervenire subito, non ritiene che sia il caso di disporre ispezioni straordinarie a carico di Aziende che per legge sono con frequenza annuale o biennale ispezionate da Legacoop stessa? E può sopravvivere nel 2012 un sistema che preveda la coincidenza tra controllore (Legacoop) e controllato (la COOP aderente a Legacoop alla quale paga la quota associativa)? Care lavoratrici, solo interessandovi direttamente di queste cose (altro che la povera Littizzetto) riuscirete a smuovere qualcosa. E senz'altro noi saremo al vostro fianco.

mercoledì 7 novembre 2012

IMU: LA STANGATA

Dal sito di Repubblica Roma
http://roma.repubblica.it/

"""""""""LA CAPITALE E LA CASA

Imu, arriva la stangata della rata di dicembre
prima casa +200%, quasi 400 per la seconda

L'imposta media passa da 170 a 510 euro. Il Campidoglio incasserà 1 miliardo

di DANIELE AUTIERI e LAURA SERLONI

Stangata Imu. La prima rata di giugno è stata soltanto il preludio di quello che i romani saranno costretti a pagare nell'ultima tranche di dicembre. Il saldo, secondo una prima stima, ammonta al 200% in più rispetto all'acconto per la prima casa e quasi al 400% in più per la seconda. Una vera e propria mannaia che rischia di dirottare la tredicesima di molti lavoratori direttamente nelle casse dello Stato.

La Capitale resta saldamente in vetta sia in termini di gettito sia di costi. In estate i romani, secondo i dati del ministero del Tesoro, hanno versato oltre 1 miliardo per l'Imu. La nuova tassa sulle abitazioni ha fruttato, dunque, più del 10% del gettito totale italiano, di questi 492,9 milioni sono serviti a rimpinguare la cassaforte capitolina. E prima delle festività natalizie i cittadini si apprestano a fornire un altro pesantissimo contributo. Già perché mentre per la prima rata e la seconda di settembre, che hanno versato tutti quelli che hanno scelto di frazionare il pagamento in tre fasi, l'aliquota veniva calcolata al 4 per mille sulla prima casa e al 7,6 per mille per la seconda; ora scattano gli aumenti. Entro il 31 ottobre i Comuni dovevano decidere le nuove fasce di riferimento.

A Roma nelle delibere propedeutiche al bilancio, il Campidoglio ha scelto di elevare al massimo possibile l'aliquota che si attesta al 5 per mille per la prima abitazione e al 10,6 per mille per la seconda. Una scelta quasi obbligata quella della giunta Alemanno, costretta dai bilanci in profondo rosso. Insomma, nell'ultima rata clou del 17 dicembre i proprietari di un appartamento dovranno versare il saldo e il conguaglio con l'aliquota maggiorata. Ma c'è da tenere conto della detrazione: ammonta a 200 euro più altri 50 per ogni figlio a carico minore di anni 26, fino a un massimo di 400 euro totali di detrazioni.

Secondo delle elaborazioni di "Repubblica" su dati del ministero dell'Economia, di Confedilizia e di Uil - Servizio politiche territoriali, ecco come saranno in media gli aumenti per i romani. Per quanti sulla prima casa, in acconto, hanno versato circa 170 euro, il saldo della terza rata con l'aliquota al 5 per mille sarà di 501 euro; mentre sulla seconda casa se si sono pagati circa 321 euro a dicembre sarà di 1.209 euro.

"Aumentare l'imposta di un punto sulla prima casa e non vedere i servizi migliorati, è una beffa", sottolinea Alfredo Ferrari, consigliere comunale del Pd e vicepresidente della commissione capitolina Bilancio. Il sindaco aveva la possibilità di aumentare l'aliquota di un punto percentuale sulla prima casa (ogni punto di Imu vale 150 milioni di euro) e di 3 punti sulla seconda (ogni punto di Imu, in questo caso, vale 140 milioni di euro).

Una manovra dalla quale il Governo spera di riuscire ad incassare circa 20 miliardi di euro; mentre il Campidoglio, si aspetta di avere circa un miliardo. E, infatti, proprio da Roma arriva il gettito maggiore. È salda al primo posto della classifica delle città dove si paga di più: in media nella capitale si sborsano circa 671 euro, a Milano 427 e a Bologna 409 euro. Così il Comune fa cassa con l'Imu, un modo per riuscire a garantire il pagamento degli stipendi dei dipendenti e tirare un sospiro di sollievo almeno fino a fine legislatura
(07 novembre 2012)
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COMMENTO AGL
Non siamo i soli a dirlo. L'effetto dell'Imu è devastante. Travolge non solo i bilanci famigliari ma anche il settore dell'edilizia, con le immaginabili ripercussioni sui comparti ad essa legati. Sono le aziende costruttrici ad essere in difficoltà e coloro che vendono le case .I possibili acquirenti sono: le famiglie che vogliono comprarsi un appartamento, che hanno difficoltà ad ottenere mutui o a sostenerli.E gli investitori (il mattone è il classico bene rifugio). Esso sta tuttavia diventando meno appetibile. Infatti comporta difficoltà con gli inquilini che hanno problemi a pagare l'affitto. E le imposte pesano indipendentemente dalla redditività effettiva del bene. L''Imu è una tassa iniqua ed un grave errore che sta provocando il crollo di tutto il mercato immobiliare del Paese. Ha provocato un calo nella produzione nelle costruzioni del 13% e una diminuzione del 36% nelle compravendite.Allo stato , l'unica soluzione migliorativa immediata che possa avere un senso è una detrazione maggiore per quei proprietari di abitazioni che pongono sul mercato degli affitti i loro immobili.

venerdì 21 settembre 2012

AMIANTO QUESTIONE IRRISOLTA. E NESSUNO SE NE OCCUPA PIU'

LA MAPPA DELL'AMIANTO IN ITALIA



Incredibile a dirsi ma ancora in Italia quella dell'amianto è una questione irrisolta e, per di più, lontana dai riflettori. Il problema è tanto più grave nelle regioni (qui sopra ve ne forniamo la mappa) in cui stata è consistente in passato la presenza di aziende che ne facevano utilizzo. Tale rischio permane alto, in ragione della considerevole presenza e diffusione in quantità pericolose nei luoghi di lavoro e nelle lavorazioni, nelle abitazioni e nelle strutture pubbliche e private. Una realtà rimossa dalle istituzioni, spesso sconosciuta e sottovalutata dagli stessi cittadini non informati adeguatamente .La legge 257/92 , oltre a vietare l'uso dell'amianto e ad imporne lo smaltimento, delegava alle Regioni la definizione dei piani di bonifica e la loro realizzazione. In maniera scandalosa le previsioni di tutela previdenziale della legge sono state artatamente depotenziate ,privando i lavoratori esposti del beneficio dell'uscita anticipata dal mondo del lavoro. E' urgentissimo riprendere sul territorio l'opera di rimozione e smaltimento dell'amianto, vigilando in modo diffuso per verificare che ciò avvenga una volta per tutte. Occorre sensibilizzare, informare e prevenire il rischio amianto, verificare l'applicazione delle leggi con il monitoraggio della situazione attuale e soprattutto riproporre l'effettiva tutela dal punto di vista sanitario di coloro che in passato sono stati inconsapevolmente soggetti alle conseguenze devastanti dell'esposizione professionale, della manipolazione, dell'uso e dell'inalazione dell'amianto e di quanti lo sono tuttora.

mercoledì 19 settembre 2012

CGIL-CISL-UIL EMILIA ROMAGNA SI OPPONGONO A UN RIACCENTRAMENTO DELLA VIGILANZA SUL LAVORO IN CAPO ALLO STATO

Finalmente escono allo scoperto coloro che non vogliono in Italia una vigilanza sul lavoro seria e uniforme in tutte le regioni.
Il giorno 17 settembre la Commissione Parlamentare d'inchiesta sugli infortuni sul lavoro ha svolto un'audizione dei soggetti istituzionali e sociali dell'Emilia Romagna.Il sito nazionale della CGIL ha pubblicato il Documento che CGIL, CISL e UIL Emilia Romagna hanno consegnato alla Presidenza della Commissione.
Leggendo lo stesso, appare il seguente passaggio:
"Un completo riaccentramento in capo ad organi statali (DTL) delle competenze sulla vigilanza, ipotizzato da questa Commissione per far fronte alle inefficienze operative di taluni Regioni, altererebbe irrimediabilmente quel legame tra prevenzione e vigilanza incardinato nelle ASL."
Quindi si accetta l'attuale sistema che ha portato solo confusione di ruoli, si chiudono gli occhi sui paurosi squilibri tra regione e regione in materia, si dà il colpo di grazia definitivo al Ministero del Lavoro, opponendosi al recupero, da parte sua, di decisive competenze, in controtendenza alla spoliazione, pressochè conclusa, che lo sta interessando negli ultimi anni, con prevedibili esuberi.
E intanto sui luoghi di lavoro si continua a morire.

mercoledì 5 settembre 2012

AMMORTIZZATORI SOCIALI IN DEROGA NEL SETTORE PESCA

Riportiamo, per opportuna conoscenza dei lavoratori del settore, ampio stralcio del testo dell'accordo sottoscritto al Ministero del Lavoro il 7 agosto scorso per l'accesso anche nel settore Pesca agli ammortizzatori sociali in deroga:

""""""""""(...)
VISTO

I'accordo governativo del 17.07.12 con il quale si è disposta l'assegnazione della somma

complessiva di 30 milioni di euro finalizzati alla Cassa Integrazione Guadagni in deroga per il

"Settore pesca".

VISTE

le successive istanze pervenute dalle Parti sociali presenti all'odiema riunione finalizzate alla

sottoscrizione del citato accordo.

VISTA

la legge del 12.11.2011, n.183,che all'art. 33, comma 21, prevede la concessione, per periodi non superiori a 12 mesi, in deroga alla normativa vigente, di trattamenti di cassa integrazione guadagni, di mobilità e di disoccupazione speciale, anche con riferimento a settori produttivi ed aree regionali.

TUTTO CIO'VISTO,

le Parti raggiungono la seguente intesa.

1)Il presente accordo in sede governativa dispone l'assegnazione, a valere sulle risorse

destinate agli ammortizzatori sociali in deroga per l'annualità 2012, della somma

complessiva di 30 milioni di Euro finalizzati alla Cassa Integrazione Guadagni in deroga per

il "Settore pesca", per l'anno 2012 e, comunque, sino ad esaurimento delle risorse assegnate,

anche tenuto conto delle istanze ad oggi giacenti e riferite alle annualità pregresse.

2)La CIG è erogata secondo le disposizioni in materia al personale imbarcato, dipendente e

socio lavoratore di cui alla L. 142/2001 delle Imprese di pesca interessate dallo stato di crisi

che ha investito il settore, e che benefici di un sistema retributivo con minimo monetario

garantito.

3)Il trattamento di integrazione salariale è riconosciuto in tutte le situazioni di crisi del settore,

anche collegate ai periodi di fermo biologico, in cui si renda necessario sospendere l'attività

lavorativa per cause non imputabili al datore di lavoro.

4)L'accesso alle misure di sostegno al reddito di cui al presente verbale potrà avvenire sulla

base di specifici accordi, comprensivi degli elenchi nominativi dei lavoratori beneficiari,

sottoscritti dalle Parti sociali presso le Istituzioni territoriali competenti a livello di una o più

marinerie e di successive istanze da presentare agli Uffici Inps competenti per territorio

entro e non oltre la data del I 5.01. 2013 .

5)L'INPS viene incaricato dell'ammissione ai trattamenti e dell'erogazione, nei limiti delle

risorse assegnate, delle prestazioni di CIG, sulla base del presente accordo, provvedendo,

inoltre al monitoraggio a livello centrale delle prestazioni erogate dalle Sedi periferiche.

6)Le Parti concordano, al fine di facilitare il monitoraggio di cui al punto precedente, di

ricorrere - per l'annualità 2012 - al pagamento diretto da parte dell'INPS dei trattamenti di

sostegno al reddito.(...)”””””””””

venerdì 3 agosto 2012

3 AGOSTO 2012: FIRMATA LA CONVENZIONE TRA L'AGL E L'ASSOCIAZIONE "ITALIANI DEL BRASILE"

Oggi, a Milano, tra il Presidente dell'Associazione "ITALIANI DEL BRASILE" Dott. Ermanno Mesiano e il Segretario Generale della confederazione sindacale dei lavoratori "A.G.L. ALLEANZA GENERALE DEL LAVORO" Roberto Fasciani è stata stipulata una convenzione il cui oggetto è "la creazione di un vero e proprio rapporto osmotico tra Associazione e Sindacato , seppur nell'ambito delle rispettive individualità, onde consentire ai rispettivi iscritti di avvalersi dei peculiari servizi offerti. La possibilità di tale reciproca fruizione di servizi è finalizzata alla massima copertura delle esigenze manifestate dai rispettivi iscritti".
Il Segretario Generale AGL Fasciani, a conclusione dell'evento, ha dichiarato: "Esprimiamo la più grande soddisfazione per questo storico passo avanti della nostra Confederazione, a soli due mesi dalla sua fondazione.In conseguenza della stessa è imminente l'apertura di nuove sedi dell'AGL nelle principali città brasiliane e il nostro Sindacato si proporra' come nuovo punto di riferimento non solo per l'organizzazione dei milioni di lavoratori italiani o di origine italiana presenti in Brasile ma, novità nella novità, avendo ottenuto tutti i riconoscimenti previsti, come primo sindacato italiano che cercherà di associare lavoratori brasiliani nella loro Patria, ponendosi come alternativa ai Sindacati locali. Si cercherà quindi di esportare in Brasile il Sindacato "Made in Italy", in coincidenza con il successo (ma con le immaginabili criticità) che note aziende italiane stanno ottenendo in quel Paese."

sabato 21 luglio 2012

ARRIVARE ALLA FONTE DELLA CONTRAFFAZIONE? FACCIAMOLO UTILIZZANDO LE INFORMAZIONI CHE VERRANNO DALL'IMMINENTE SANATORIA

Più che condivisibile la Circolare del Procuratore di Savona Dott. Granero
leggi qui:
In Italia però siamo (ci riferiamo all'opinione pubblica e agli organi di stampa) un po' ripetitivi e inconcludenti. Da noi i dibattiti (gli stessi) si aprono sempre ma non si chiudono mai. Con le decisioni, i fatti, le soluzioni condivise.I vari soggetti fanno finta di dialogare ma in realtà restano della loro idea e continuano a fare quello che gli pare. E ciò è tanto più preoccupante quanto più si svolgono funzioni pubbliche. Una stessa norma nazionale cioè, a volte è interpretata e applicata(e non) difformemente in ognuna delle 110 (?) province del Paese.Ci sarà da ridere quando sulle spiagge, con la crisi occupazionale che avanza,al posto dei vù cumprà di colore ci saremo noi italiani. E forse c'è proprio questo presentimento nelle meritorie cautele del Dott. Granero.Ossia: non facciamo oggi a loro quello che un domani potrebbe essere combinato a noi.
Tutti da tempo avevamo l'impressione che, riguardo agli stranieri, non ai capi delle mafie estere ma ai poveri cristi con il problema di pagarsi un pasto, qualcosa non quadrasse riguardo allo sproporzionato impegno delle forze dell'ordine (tra l'altro non gradito a tanti bagnanti, come avvenuto ieri a Cervia), alle norme processuali e alla custodia preventiva. Vuoi vedere che dovremo ringraziare i vù cumprà, oltre all'Europa, se un giorno riusciremo ad avere una Giustizia meglio organizzata e più umana?
E riemerge poi la annosa questione del coordinamento e del razionale impiego delle forze dell'ordine (a cui manifestiamo come Sindacato la nostra solidarietà). Uomini e mezzi abbondanti per operazioni di facciata, carenze paurose per le attività che richiedono una opera di intelligence. Come se si avesse timore, da parte di chi le dirige, di andare a sbattere il muso contro qualcosa di troppo duro.
E' alle porte una giusta “sanatoria” per i lavoratori irregolari che partirà a settembre. La stessa prevederà una fase transitoria, nella quale si darà la possibilità ai datori di lavoro di “mettersi a posto” spontaneamente pagando un tot allo Stato e una fase successiva in cui si concederà un permesso di soggiorno allo straniero irregolare che denunci lo sfruttatore del proprio lavoro in nero.
Lo Stato ci guadagnerà tanto e questo indurrà a chiudere un occhio su tante false dichiarazioni che ci saranno e su tanti soldi pagati dagli stranieri a chi sarà disposto a farle. Ma è tanto chiedere a chi di dovere che da questa sanatoria (dai dati che essa fornirà) si traggano gli elementi per stilare una mappa della filiera della contraffazione in Italia per arrivare alle sue fonti (un esempio della famosa attività di intelligence)?E per stroncarla?

giovedì 28 giugno 2012

IL NODO DELOCALIZZAZIONE

Viene da sorridere pensando che la delocalizzazione, lo spauracchio di oggi, sia nata nel 1492, con la scoperta dell'America.
E che da allora sia andata avanti perchè ritenuta essenziale per lo sviluppo e inarrestabile, pena l'arretramento del benessere.
Il lavoro allora diventa come una coperta troppo corta nel letto in cui dormono più persone: occorre cercare di tirarlo a sé a scapito degli altri per più tempo possibile. E' una battaglia per la sopravvivenza dei territori. Che però possono combattere per sopravvivere. Ma, di solito, vince sempre chi cerca di attrarre lavoro, cioè chi attacca, difficilmente chi si difende ossia chi vuole trattenere il proprio lavoro. Stiamo parlando di nazioni in cui c'è concorrenza tra regioni e di continenti in cui c'è sfida tra nazioni. Esistono in teoria regole ma non soggetti forti che sappiano e limitare la perdita di benessere delle zone meno competitive. Per definizione sono le multinazionali a suonare la musica.
Come attaccare (attrarre)? Adottando imposte sui redditi e regole IVA favorevoli rispetto ai paesi concorrenti. Come difendersi? Disincentivare l'uscita del lavoro dal proprio Paese imponendo vincoli alle aziende che delocalizzano altrove (più tasse, visto che i profitti sempre , di fatto, in capo al soggetto imprenditoriale che ha sede nel paese di partenza prima o poi ritornano oppure obbligo di restituzione di contributi e aiuti pubblici ricevuti nel caso in cui poi l'impresa vada a investire con quei soldi all'estero).
Grande risonanza sta avendo negli USA la iniziativa bipartisan relativa ai call center indiani (leggi qui http://www.economiaweb.it/usa-dichiarata-guerra-ai-call-center-indiani/ )In Italia siamo un po' indietro. Leggendo (qui http://www.torinotoday.it/economia/lavoratori-indesit-assemblea-28-giugno-2012.html ) la notizia della protesta dei lavoratori dell'INDESIT di None (TO) a cui manifestiamo tutta la nostra solidarietà, stupisce di trovare ancora di sindacati che hanno un approccio infermieristico alla questione, pendendo dalle labbra del funzionario di turno del Ministero dello Sviluppo Economico o della Regione. Ci domandiamo cioè perchè questi Sindacati non utilizzino tutti i loro legami politici per fare in modo che iniziative politico-legislative sulla questione non restino prerogative di forze politiche e di personalità dignitosissime e meritevoli , per carità, ma, per il momento, un po' “marginali”.Alcuni esempi: questo http://www.italiadeivalori.it/territorio/veneto/14756-lavoro-ditec-subito-legge-contro-delocalizzazione , questo: http://www.youtube.com/watch?v=gpfXG3lM5rM e questo http://www.prov-reggioemilia.leganord.org/index.php?option=com_content&view=article&id=24:finanziamenti-per-mercati-esteri-usati-per-delocalizzare&catid=27&Itemid=116 .
Anche se la colpa non è mai dei lavoratori, per questa volta vorremmo pregare i “rappresentati” (i lavoratori) di reagire alla disperazione e di sollecitare i “rappresentanti” (i loro dirigenti sindacali) a bussare alla porta dei loro onorevoli di riferimento per darsi una smossa in materia. Non è detto infatti che a qualcuno possano venire idee migliori, oltre a quelle attualmente sul piatto. Certo occorre coraggio su due terreni da sempre ostici per certi sindacati: l'imposizione di regole severe alle imprese a tutela del pubblico interesse (un pizzico di dirigismo statalista ) e la “flessibilità” fiscale (un pizzico di liberismo). Due ingredienti che , nella giusta dose, senza eccedere, combinati con accortezza, ogni tanto potrebbero essere di giovamento all'ammalato grave: il mondo del lavoro italiano.